di Mauro Riva
Da tempo la nostra Associazione ha stabilito un dialogo serrato con il Consiglio di Amministrazione della Cassa Ufficiali (ove abbiamo un solo nostro rappresentante a fronte dei restanti, tutti in servizio permanente) per difendere i diritti del personale in quiescenza in materia di “Assegno Speciale”.
Purtroppo ogni intervento del nostro rappresentante, tendente a salvaguardare, oltre agli interessi, la dignità ed il rispetto del personale in quiescenza, non ha avuto successo.
Non è restato pertanto altro mezzo che aderire, anche se a malincuore, ad un ricorso.
Il problema che si spera di risolvere è quello della parità dei diritti tra il personale in servizio, titolare di “Indennità Supplementare” ed il personale in quiescenza titolare di “Assegno Speciale”.
La prima indennità “una tantum” è legata ad una formula di calcolo (2% dell’80% dell’ultimo stipendio moltiplicato per gli anni di servizio), indipendentemente dall’entità dei versamenti e delle disponibilità, è detassata e resa reversibile; la seconda, invece, annuale per gli anni di vita successivi ai 65, è affidata alle discrezionali ed interessante proposte del Consiglio stesso (costituito essenzialmente da personale in servizio), e sottoposte, con insospettabile credibilità, all’approvazione del Ministro della Difesa.
Quest’ultimo tipo di, (purtroppo breve!), “vitalizio”, pur alimentato da uguali contributi rispetto alla precedente indennità, è tenuto costantemente a livelli estremamente ridotti (ad es. un Gen. C.A. in quiescenza percepisce circa 38/40 Euro/mese), è rimasto pressoché invariato negli anni se non per piccoli aggiornamenti legati al costo della vita, è tassato al massimo dell’Irpef, non è reversibile e, in caso, di morte del titolare, il relativo importo resta alla Cassa.
E’ pertanto evidente lo stato di trascuratezza ed abbandono in cui l’istituzione ha lasciato l’ “Assegno” stesso.
Non solo, poiché il rigido meccanismo adottato per il calcolo delle provvidenze dell’ “Indennità Supplementare” prescinde dalle specifiche disponibilità di cassa (perché legato all’ultimo stipendio mentre invece i versamenti sono stati effettuati percentualmente dal grado più basso a quello più alto producendo benefici pari almeno a 2/3 volte il versato), il comparto è in “profondo rosso”.
Di conseguenza, non volendo adeguare al ribasso le elargizioni dell’ Indennità alle specifiche disponibilità, il Consiglio di Amministrazione della Cassa ha deciso autonomamente di attingere alle disponibilità relative all’ “Assegno Speciale” del personale in quiescenza, che essendo stato mantenuto costantemente ai minimi livelli, è largamente in attivo. Inoltre, al fine di evitare le prevedibili reazioni negative del personale in quiescenza che si è visto sottratte ingiustamente proprie disponibilità, ha addirittura fatto approvare una legge (L. 416 del 1996) che unifica di fatto le disponibilità stesse, ma che deforma sostanzialmente il dettato e le intenzioni del legislatore. Tanto è vero che nella Relazione di presentazione della legge stessa si faceva specifico riferimento a questa separazione disponendo la maggiorazione del contributo destinato all’ “Assegno Speciale”(dall’1 al 2%) in previsione di successivi sviluppi connessi ad una possibile futura trasformazione in pensione integrativa.
Non solo, al fine di legittimare ancora di più la possibilità di sottrarre fondi alle disponibilità dell’ “Assegno Speciale”, con Decreto legislativo 24 febbraio 2012 n. 20, all’art. 7, com.1, let. h, ha soppresso le parole “in relazione al beneficio aggiuntivo dell’Assegno Speciale” riportate all’art. 1916 com.2 del “Codice dell’ordinamento militare”; con ciò vanificando il concetto che l’aumento dal 3 al 4% delle trattenute per la Cassa Ufficiali di cui alla citata Legge 416 era finalizzato all’ “Assegno Speciale”.
A tutto ciò si soggiunge che:
– nel 1996, a seguito del conseguito raddoppio del contributo dall’1 al 2% per l’Assegno Speciale (citata L. 416), non è seguito, neppur minimamente, il pur richiesto analogo raddoppio dell’Assegno stesso;
– sulle disponibilità derivanti dal fabbricato di via Todi in Roma, di proprietà dell’Assegno Speciale in quanto acquistato con fondi di pertinenza dello stesso, affittato alla Direzione Generale del Genio (oggi, Ufficio Infrastrutture), sono state formulate dal citato Consiglio addirittura ipotesi di utilizzare ancora a favore dell’Indennità Supplementare sia negli importi sia nella riduzione dei tempi di pagamento, al momento non immediati a causa della ormai cronica e profonda crisi di fondi relativa all’Indennità stessa;
– era recentemente in atto una proposta tendente ad eliminare l’Assegno Speciale compensando gli aventi causa con una elargizione “una tantum” di ridottissima entità e modulata in relazione alle aspettative di vita degli interessati.
Per questi motivi, (non potendo agire in alcun modo) se non in sede parlamentare, sia per la detassazione che per la reversibilità, ma agendo con il nuovo Governo al tempo giusto, la Presidenza Nazionale ha proposto ricorso contro la Cassa stessa al fine di:
– impedire che le disponibilità dell’Assegno Speciale vengano sottratte a favore della nota Indennità;
– provocare la restituzione di quanto fino ad ora indebitamente sottratto;
– incrementare L’assegno stesso in relazione alle specifiche e reintegrate disponibilità di cassa (arretrati compresi).
Il ricorso presentato al TAR del Lazio è a carattere collettivo. Possono parteciparvi tutti gli ufficiali dell’Esercito e dell’Arma dei Carabinieri percettori dell’Assegno Speciale.
Il contributo onnicomprensivo per ciascun ricorrente è stabilito in Euro 150 (200 per i non iscritti all’ A.N.U.P.S.A.) da versare con assegno all’ avvocato Antonio Giuseppe Pititto Via Pellegrino Matteucci 41 – 00154 Roma, Fax 06-57139043, – (pititto@)virgilio.it). Codice Fiscale PTTNNG70E09F537E.
Per aderire al ricorso occorre inviare direttamente al citato Avvocato:
– apposita delega firmata con i dati personali;
– fotocopia del proprio documento di riconoscimento firmata;
– fotocopia del CUD relativo all’Assegno Speciale;
– l’assegno di cui sopra.
Quanto sopra non solo ai fini di giustizia, per ottenere l’incremento finanziario giustamente dovuto, ma soprattutto per salvaguardare la dignità ed il rispetto dei diritti degli ufficiali in quiescenza.