L’intervista
SICULIANA (Agrigento) – Diversi approdi, approdi differenti: riflessioni sulla diversità degli uomini, sulle differenti opportunità degli individui, sui contesti che determinano i destini. È il tema della prima giornata di condivisione culturale alla riserva naturale di Torre Salsa di Siculiana (Ag) coordinata da Daniela Gambino che avrà luogo domani pomeriggio: fra le voci che animeranno il dibattito c’è quella poetica di Evelina Maffey che ha pubblicato con Vertigo edizioni “Canto di Colapesce” (pagg. 102), il grido di dolore di tutte le mamme del mondo per i loro figli perduti, resuscitati o scomparsi in una notte di tempesta. È un bisogno folle quello di cantare il proprio dolore per trasformarlo in dolore del mondo, è un bisogno di regalare emozioni.
L’iniziativa siculianese s’intitola “Approdi culturali”. La collana in cui è stato pubblicato il suo libro è “Approdi”: quanta affinità c’è fra il suo volume e il contenuto dell’evento a Torre Salsa?
Approdi significa arrivare approdare da qualche parte e per arrivare bisogna partire quindi bisogna fare un viaggio dove incontri qualcosa o qualcuno, un viaggio implica lasciare una parte di te stesso per conoscere qualcosa che ancora non conosci, significa partire alla scoperta di qualcosa o qualcuno. Approdi vuole significare incontrarsi con l’altro, può essere una cultura, un paese, un popolo e tanto altro ancora. Ecco approdi indica la diversità e l’incontro con le altre culture per uscire dal proprio egocentrismo cognitivo ed etnologico e superare le barriere culturali. Mi sembra che approdi vuol dire tanto e non è un caso che sia la collana della Vertigo di Roma dove è stato pubblicato “Canto di Colapesce” e l’iniziativa culturale ed artistica promossa dal prof. Giuseppe Zambito a Torre Salsa abbiano una tematica comune per affinità.
Il suo poema sinfonico da quale tema è principalmente attraversato?
Il mio poema sinfonico è attraversato dal mare della vita in cui nuota Colapesce, i versi come le onde, riecheggiano la sua storia che è leggenda, è mito e che viene rinarrato come nei secoli passati sino ai secoli a venire e non solo dalle onde del mare che si propagano nell’infinito ma anche dalle voci cadenzate delle donne e dai pescatori che simile al coro della tragedia greca narrano il fato singolare di Colapesce. Il viaggio di Colapesce nel mare di Sicilia parte da una piccola isola di nome Formica nelle Egadi per approdare all’isola di Lampedusa e all’isola dei Conigli dove Colapesce incontrerà l’amore con la Venere Nera per continuare il suo viaggio nel mare di Sicilia. L’isola indica il nodo geografico dove si incontrano popoli, tante culture e
molte diversità culturali ma costituisce fonte di tanta ricchezza ed è il luogo dove la leggenda di Colapesce è narrata in chiave contemporanea.
Personalmente, rispetto alle altre pubblicazioni, in che cosa come scrittrice si vede cambiata o cresciuta?
Personalmente il canto di Colapesce mi ha permesso di sperimentare nuove tecniche stilistiche, di coniugare il mito con il presente e – attraverso il viaggio di Colapesce – vivere un nuovo percorso esperenziale e più maturo che avevo già iniziato con “La Grotta Azzurra e il Satiro Danzante”, un percorso narrativo ampliato grazie alle neuroscienze al fine di approdare ad una maggiore autoconsapevolezza come scelta esistenziale e da come ciò emerge nel credo di Colapesce “Nato ergo sum” ovvero “Nuoto dunque sono”, “nuoto nel liquido amniotico della vita”. Colapesce è un eroe moderno che attraverso il suo monologo interiore e quello della Madre, i diversi flashback e il flusso di coscienza rivive le sue esperienze e le riesplora mediante la sua sensibilità e la sua emotività in un viaggio ermeneutico dove dalla caduta alla morte c’è la resurrezione, c’è la rinascita verso la propria autocoscienza e la propria scelta di vita sebbene ciò comporta dolore e sofferenza ma tutto ciò permette di riconquistare la propria libertà. Lo scenario è il mare di Sicilia dove arrivano ogni giorni i barconi dei clandestini dal Nord Africa sulle coste di Lumia, Verdura, Torre Salsa, l’isola di Lampedusa recentemente visitata da papa Francesco e promossa dallo scrittore peruviano premio nobel Mario Vargas Llosa affinché Lampedusa sia candidata a premio nobel per la pace per l’accoglienza, per la generosità dei suoi abitanti nei confronti dello “straniero”. Il mare di Sicilia è un mare da esplorare in cui il protagonista “deve sporcarsi le mani” in senso sartriano per costruire dalle macerie le nuove fondamenta i cui veri valori sono quelli etici e civili al fine di edificare una nuova società che sia fondata sull’impegno e sulla memoria di una Sicilia migliore dove la droga, la mafia e la delinquenza e il razzismo, gli atteggiamenti xenofobi vengano sradicati. Quindi considero il Canto di Colapesce un vero e proprio manifesto letterario e politico e pertanto non mi appartiene più in senso lato ma appartiene all’intera umanità.
Dal suo testo è stato ricavato lo spettacolo teatrale “Catarsi”: come s’è rivelata l’esperienza?
È stata una bella esperienza che mi ha permesso di crescere insieme agli altri: lo spettacolo di teatro danza “Catarsi” diretto dalla maesta Aurelia Lalicata nella splendida cornice della Badia Grande è stato rappresentato dal corpo di ballo su due lati affinché lo spettatore potesse scegliere, attraverso la scelta della poltrona, il luogo e l’occhio attraverso cui guardare la danza espressa insieme ai versi narrativi e declamati dal poemetto “Canto di Colapesce”. Una scelta artistica per far emergere le diverse angolazioni espressive e voci narrative che la realtà ci rappresenta e che molto spesso si vuole invece incatenare in ruoli o cristallizzare in schemi fisici e/o ambientali. In questo senso si è voluto – mediante l’espressione corporea, la mimica gestuale, la musica e l’io narrante e il gioco di luci ed ombre – emulare la realtà fluida, il pensiero libero, il credo escatologico e la dualità di Colapesce mezzu omu e mezzu pisci.
Giovanni Zambito