Il 18 agosto a Siculiana (Agrigento) prenderà il via il primo dei tre appuntamenti di “Approdi culturali a Torre Salsa” presso l’omonima riserva naturale sotto la direzione artistica di Peppe Zambito che verterà sull’argomento “Diversi approdi, approdi differenti”: gli ospiti rifletteranno “sulla diversità degli uomini, sulle differenti opportunità degli individui, sui contesti che determinano i destini”. Fra questi il Maresciallo Roberto Rapisarda autore del libro “Vite anNegate“ (Armando Siciliano editore, pagg. 168, € 15,00) che affronta l’immigrazione con il punto di vista di chi lascia affetti e cose con tutte le conseguenze e le difficoltà che seguono.
L’intervista.
Com’è entrato in contatto diretto con la dura realtà dell’immigrazione?
Ricordo che già nei primi anni ’80 ancora studente, nel periodo estivo, si andava nella lunga è splendida spiaggia della frazione Fondachello del comune di Mascali (CT), dove i bagni di sole, venivano in qualche occasione interrotti dai vucumprà di colore, che sovraccarichi di tappeti, coperte, lenzuola e ogni altro, tentavano di venderci la merce per realizzare, con il profitto, i propri sogni. All’inizio erano veramente pochi i venditori ambulanti di origine africana che attraversavano le nostre spiagge. Tutti li conoscevamo bene. Tutti conoscevamo le loro storie e il loro difficile passato. È bello ricordare come l’approccio per il commercio dei prodotti, di fatto, diventava motivo di comunione fraterna. L’immigrato spesso si sedeva con noi ragazzi raccontando la propria storia, si divideva il panino tutt’insieme ed era anche motivo di scambio linguistico di alcuni vocaboli di uso comune. In particolare uno di loro, Mustafha, originario del Marocco, l’ho rivisto lo scorso anno nel comune di Riposto (CT). Incredibile incontrarlo dopo circa 32 anni. Eppure è successo. In quel momento io sono tornato ragazzo, lui si è tanto emozionato. Quella spiaggia e quei primi vucumprà rappresentano di certo il mio primo contatto con la dura realtà dell’immigrazione. Poi da Maresciallo dell’Arma, ho avuto modo di entrare in contatto con la dura e questa volta anche tragica realtà dell’immigrazione, ciò nell’Isola di Lampedusa. In quel lembo di terra, il passaggio di migliaia di clandestini, mi ha fatto toccare con mano, la sofferenza umana, quella vera, quella che non immagini nemmeno possa esistere.
In quale aspetto in particolare la vita degli immigrati viene annegata e negata?
La vita degli immigrati viene annegata nelle acque degli oceani e dei mari del globo, ogni qualvolta un malandato barcone sprofonda negli abissi con il suo sovraccarico umano. Quel barcone e quelle vite lottano per ore ad armi impari, contro la furia della natura, che ancora una volta si scaglia contro di loro associata alla crudeltà e alla spietatezza dei criminali che organizzano il viaggio. L’argomento diventa più complesso quando invece dobbiamo parlare di negare la vita all’immigrato. Qui molto spesso, chi ha più cultura, più la dice lunga. Io desidero sintetizzare la negazione della vita riconducendola alla sempre presente indifferenza umana nei confronti di chi soffre.
Ha analizzato anche il punto di vista della comunità lampedusana? che segnali o segni ha colto?
Il cittadino che vive l’intera sua esistenza in un’isola così lontana dalla terraferma come Lampedusa (116 miglia marine dalla Sicilia), beneficia senz’altro del fatto che la sua terra è inevitabilmente meno inquinata da tutti quei fenomeni negativi che invece, contaminano le nostre “moderne” città. Ritengo che ciò rende quel cittadino un essere vivente dall’animo più
“pulito”. Ma quando poi oltre a vivere in un’isola in mezzo al mare, sei anche un pescatore e passi gran parte della tua vita al centro del Mediterraneo, lontano anche dalla tua isoletta, ecco allora che quei fenomeni negativi, puoi non conoscerli del tutto e mantenere un animo assolutamente lindo. È questo il tipo di lampedusano che io conosco. Gente discreta, semplice, dai comportamenti umili, saggia in alcuni casi, di non comune generosità e con un elevato senso di amor di Patria. Ho letto in qualche quotidiano di una reazione dei cittadini lampedusani all’immigrazione. Non credo corrisponda alla realtà. Conosco bene quella gente e non gli appartiene quel tipo di comportamento. La comunità lampedusana fin dai primissimi approdi clandestini (anni ’80-90), quando ancora il fenomeno “sbarchi” era contenuto a qualche centinaia di esseri umani, ha sempre accolto quelle vite con grande solidarietà. Poi con il passare del tempo, parte dell’economia lampedusana è cambiata e ciò grazie all’affluenza di numerosi turisti. Da questo cambiamento ne è derivato che buona parte dei cittadini, da pescatori sono diventati piccoli imprenditori turistici. Ecco che, per una insolita analogia, anche la comunità lampedusana, come gli immigrati, di colpo inizia a sognare un futuro meno disagiato. In verità cosa è avvenuto: la massiccia presenza di “clandestini” e la talvolta inopportuna ed esagerata attenzione dei mezzi di comunicazione, ha danneggiato quella parte di comunità che sperava nello sviluppo turistico dell’isola, per garantire un futuro migliore ai propri figli. Ecco allora, che a voce alta, ma mai ribellandosi, quella parte di comunità ha evidenziato alcune carenze nell’opportunità o meno di concentrare e mantenere per più giorni nell’isola, masse umane cosi numerose.
Rivedendo a posteriori le sue fotografie, ha notato dei dettagli che le erano sfuggiti in un primo momento?
Ritengo che qualsiasi foto mostri sempre dettagli che sfuggono all’istinto del primo scatto. Rivedendo alcune foto mi ha certamente colpito lo sguardo e il sorriso di alcuni immigrati, dovuto alla gioia di essere giunti sulla terraferma, dopo ore e ore di mare su una barca in mezzo al Canale di Sicilia, particolare che mi era sfuggito, perché inizialmente, forse come tutti, mi ero soffermato anche io sulla spettacolarità delle immagini tragiche.
Quale status mentale bisogna assumere per comprendere appieno e in fondo dramma e realtà di chi sbarca a Lampedusa?
Chi sbarca a Lampedusa, ma in qualsiasi altra parte del mondo, lascia nel suo paese d’origine, gli affetti più cari e tutto ciò che possiede, spesso veramente poco, una capanna, un piccolo orto, qualche effetto personale, ma soprattutto la propria identità. Nel nuovo paese d’approdo non ha un alloggio, un lavoro, parenti, amici e spesso non ha nemmeno un nome, costretto a rendere false generalità per sfuggire ai controlli. Inoltre nondimeno la difficoltà a farsi comprendere e apprendere la nuova lingua. Credo che la giusta chiave di lettura del fenomeno immigrazione soggiorni nel cuore di ciascuno di noi; aprire il nostro cuore alla sofferenza dei diseredati del mondo e sforzarci di toccare con mano, le loro storie, i luoghi di provenienza e le loro tradizioni, possa aiutare tutti a non essere più “singoli esseri umani”, ma “comunità”.
Dalle foto alla pubblicazione del volume: com’è avvenuto il passaggio? chi l’ha aiutata e supportata in questo?
Da tempo pensavo di trasmettere a chi ne avesse voglia, attraverso un libro non l’esperienza professionale vissuta a Lampedusa, ma le emozioni provate nel sentirsi veramente utili per l’umanità. Così un giorno, rivedendo qualche foto e riconoscendo in esse alcuni esseri viventi passati per l’Isola di Lampedusa, ho deciso di buttarmi in questa esperienza letteraria. Ricordando in particolare lo sguardo riconoscente di molte vite che in partenza da Lampedusa, con un lieve cenno del capo, un sorriso o un’espressione del viso, mi ringraziavano in qualità di tutore dell’ordine, per averle accolte con umanità, volendo ricambiare, ho ritenuto opportuno riportare alcune loro storie per tenere sempre viva la memoria di quei momenti, in modo da far sì che non cali l’attenzione verso un tragico fenomeno che continua ad interessare le nostre coste provocando sofferenza al genere umano.
Giovanni Zambito