QUI BUENOS AIRES
“Indignados” italiani e la marcia per Colombo
A una settimana dalla manifestazione della comunità, cosa fare per continuare a reclamare.
di WALTER CICCIONE
E’ probabile che nella sua generosa storia, la comunità italiana in Argentina abbia iniziato a scrivere un nuovo capitolo, che porterà come titolo il 23-A, data in cui si è svolta una tra le sue prime manifestazioni di protesta e di presentazione degli indignati italo-argentini, che si sono radunati quel giorno per ripudiare l’iniziativa del governo Kirchner di traslocare il monumento a Cristoforo Colombo a 400 chilometri dalla Capitale,nella città di Mar del Plata. Annunciata come “la forza dell’abbraccio”, l’idea è tramutata in un darsi la mano, un girotondo attorno alla piazza, nella quale si erge la statua al grande navigatore genovese, visto che è “incarcerata” dietro ad una alta cancellata, che impedisce l’accesso allo spazio pubblico.
Una manifestazione di protesta che in un certo senso è venuta a colmare la mancanza di reazione, specialmente da parte della nostra classe dirigente, alla decisione del governo argentino, che nel 2007 nei fatti sequestrò la statua e la piazza circostante, per annetterla ai giardini della Casa Rosada, vietando l’accesso. Una decisione davanti alla quale la collettività e chi ne è dirigente, non ha saputo, o potuto o voluto reagire.
Una decisione che allora è passata quasi inosservata, eccezion fatta da qualche dirigente e media, tra cui TRIBUNA ITALIANA che si mise a capo di una specie di crociata per lanciare l’allarme, accentuata a partire dall’ultimo mese di marzo, quando il monumento fu coperto di impalcature e teli, portando il nostro giornale a pubblicare vari servizi: “E noi cosa faremo?”, “Ridateci Colombo”, “Un abbraccio a Colombo per abbracciare i nostri nonni”, “Un monumento espropriato, incarcerato e sfrattato”, “ Statua di Colombo, dopo il carcere l’esilio”.
Anche se tardiva, finalmente qualche reazione c’è stata, plasmata nella convocazione del Comites di Buenos Aires alla piazza, iniziativa alla quale aderirono tra le altre, istituzioni come Feditalia, Fediba, Camera di Commercio Italiana, i Comites di Lomas de Zamora e di Morón, Federazioni e Associazioni regionali e anche movimenti politici come il Maie o il Pd, ai quali si sono aggiunte due Ong locali: “Salvemos las estatuas” e “Bastademoler”.
Le particolari circostanze delle crisi che attraversano sia l’Argentina che l’Italia, che monopolizzano i titoli dei media, in un certo senso hanno messo in ombra le ripercussioni della protesta che, comunque, a livello locale è diventata “El escándalo Colón”, mentre nel Bel Paese è stato scelto il tono bellico: “La comunità italiana sul piede di guerra”, “La statua non si tocca”, “Guerra aperta per il monumento”; “Il Maie di Buenos Aires difende a spada tratta la statua” e perfino altri più coloriti: “Vergogna! vogliono sfrattare Colombo”
La forza dell’abbraccio
Il nostro 23-A ci ha gratificato con un gradevolissimo pomeriggio d’autunno. Attorno alle 16 i primi manifestanti cominciarono ad arrivare davanti alla cancellata che chiude la piazza. I soliti noti e ignoti che costituirono un gruppo eterogeneo di circa 300”indignados” presenti in Piazza Colombo, hanno manifestato la loro protesta, molti portando bandiere tricolori e argentine, stendardi di regioni italiane e alcuni manifesti del Comites di Buenos Aires, della Federazione Calabrese e dell’Associazione Padovani nel Mondo, con scritte come “Colón no se mueve” o “Somos argentinos orgullosos de tener sangre tana”.
A quell’ora il traffico era intenso e alcuni pedoni guardavano incuriositi la nostra manifestazione, colorita atmosfera da sagra paesana, con stendardi di Santi patroni di associazioni regionali, con la presenza di due alpini e al posto di “bombo” e “cacerolas” (pentola), strumenti classici delle proteste argentine, una piccola banda, “Italia 50”, costituita da quattro volenterosi componenti, diretti dal maestro Alberto Cicconetti, che partirono alla testa della manifestazione con temi quali “O sole mio”, “Vecchio scarpone” ed altri, per poi continuare con gli inni nazionali.
Una protesta che sotto l’attento sguardo di una discreta presenza della polizia, si è svolta in modo pacifico, senza alcun incidente o sconfinamento che oscurasse l’iniziativa, grazie alla volontà e all’entusiasmo degli organizzatori, anche se in certi momenti, la manifestazione ha messo in evidenza un certo disordine perché mancava una conduzione, così come anche un semplice megafono, elemento basico per orientare lo spostamento della colonna. L’unico momento di tensione per il cordone della polizia, è stato quando la colonna invece di entrare in “Plaza de Mayo” da via Reconquista, cioè oltre cento metri più in là della “Casa Rosada”, lo ha fatto da via Rivadavia, che passa a fianco della sede presidenziale, una zona considerata off-limits dalla sicurezza. Immediatamente sono stati disposti due reparti antisommossa della polizia, davanti alla “Rosada”, ma la colonna tricolore ha continuato senza disturbare e senza essere disturbata, passando davanti al palazzo presidenziale (opera dell’architetto italiano Francesco Tamburini) e girando per via Hipólito Yrigoyen per ritornare in Piazza Colombo davanti al monumento, dopo applausi e ulteriori canti chiedendo di lasciare al suo posto Cristoforo Colombo, si è sciolta ordinatamente.
I dilemmi
All’ora del bilancio, si presentano due opinioni. La prima considera insufficiente la presenza di 300 manifestanti, perché non rispecchia i numeri della nostra comunità in Argentina e per fare un esempio, si afferma che se ognuna delle associazioni della collettività avesse inviato due rappresentanti, il numero sarebbe stato di molto superiore. L’altra rispecchia una completa soddisfazione col risultato raggiunto, visto tra l’altro che l’evento è stato poco promosso alla vigilia, che si trattava di una giornata lavorativa e in un orario inadeguato. In definitiva l’eterna diversità di vedute tra il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto. O più semplicemente fissare lo sguardo su quello che manca, senza vedere tutto quanto c’è.
Crediamo però che sarebbe ingenuo supporre che questa protesta possa portare a un immediato ripensamento sulla decisione di traslocare il monumento, specialmente se si considerano le note caratteristiche della presidente Kirchner e il suo stile di raddoppiare le scommesse e ignorare le proteste, perfino quelle moltitudinarie. Come diceva qualcuno guardando la nostra manifestazione, “non illudetevi che una civile e pacifica protesta di 300 “tanitos” possa preoccupare la Signora, anzi, per lei, traslocare il monumento è come cambiare un quadro da una stanza a un’altra”. Quindi, a quanto pare, con il monumento ingabbiato in un’impalcatura e foderato di celophane e impacchettato, il trasloco starebbe percorrendo le fasi conclusive, anche perché bisogna fare attenzione al mese di luglio,quando si celebra il giorno della confraternita argentino-boliviana, occasione in cui potrebbe essere reso ufficiale il dono del monumento di Juana Azurduy da parte del presidente Evo Morales, da mettere al posto di Cristoforo Colombo.
Quindi, al di là delle azioni in corso, tra le quali la presentazioni di due ricorsi davanti alla magistratura e la raccolta di 100mila firme per ottenere che la statua non sia rimossa, e della risoluzione della Legislatura della Città di Buenos Aires, la protesta del 23-A dovrebbe essere presa come una specie di esperienza da capitalizzare e a partire dalla quale organizzare urgentemente altre strategie che comprendano, tra l’altro, lo svolgimento di una grande protesta, da svolgersi domenica 2 giugno, 24 ore prima della celebrazione del Giorno dell’immigrante italiano. All’uopo, e consapevoli dell’idiosincrasia della nostra collettività, chiedere il permesso al Governo della Città, per organizzare una festival da tenersi nella Avenida de Mayo, per assicurarne una nutrita partecipazione del pubblico che poi si sposterebbe alla vicina piazza Colombo per un nuovo e più massiccio abbraccio che, non sia per un triste addio, ma per ratificare un sentimento di appartenenza.
Nella foto, “Plaza de Mayo” davanti alla “Casa Rosada”: un momento della manifestazione contro il trasloco del monumento a Colombo.