Storie fantastiche dal cratere aquilano
Minima Amoralia
di Luigi Fiammata
L’AQUILA – 18 febbraio 2013
Del principio di “non contraddizione”
Le conseguenze logiche di un pensiero, di un’azione, o delle parole, sono legate al tempo e alla memoria. E’ assolutamente chiaro che non vi è alcuna necessità, formale, stilistica o sostanziale, per mantenere inalterato il susseguirsi razionalmente consequenziale. Anzi, esso costituisce una gabbia da cui liberarsi, vantandosene e denigrando chi si attarda a conservare affetto per la lucidità quasi matematica di alcune coerenze. Sostenere idee, pensieri o azioni in palese o, meglio ancora, nascosto, stridore tra loro è segno di felice modernità e agilità etica. Basta strillare più forte e aver fiducia nell’ormai eterno presente dell’assenza di ricordo alcuno (reale o conveniente ), di quanti si hanno intorno.
Della deroga e della variante
E’ opportuno costruire arzigogolati castelli di principi. Siano essi pensieri, o norme. Castelli apparentemente inattaccabili cui afferrarsi sempre alla bisogna. Ma che contengano in sé, preferibilmente in modo astutamente celato, la possibilità di piegarli sempre alle necessità. Tale possibilità va infiocchettata ammantandola di modernità, di capacità di adeguamento al modificarsi delle condizioni reali. E’ la possibilità di intervento in contraddizione, di cui va sancita la nobiltà e la superiorità morale, non i principi. E va accuratamente occultata la circostanza che, ad agire sulla praticabilità dell’inversione, sia sempre il potere, il denaro, o la convenienza di talune relazioni, in nome non già di interessi privati, bensì, sempre, di un interesse generale che è un presupposto, mai il risultato di una verifica. L’italiano è una lingua duttile, che si presta.
Del pulpito da cui viene la predica
E’ necessario avere piena consapevolezza che non è mai il merito delle questioni a produrre uno spostamento di opinione, di consenso o di dissenso. Il pensiero non produce in alcun modo altro pensiero. Ma è l’abito che conferisce legittimità e peso alle parole. Talmente tanto che, persino chi esprima qualcosa totalmente distinta e lontana anni luce della realtà, se espressa in abiti acconci, produce una falsa autoconsapevolezza che le conferisce la patente del bene e del vero. L’autoconvinzione genera convinzione altrui. Tale processo accade, e diviene tanto più potente e cogente, quanto più chi ne sia portatore possa ammantarsi di ruoli che divengano la sua essenza, e ne facciano il portavoce di una Storia. Quanto artatamente costruita è un’inezia.
Della flessibilità delle parole
La flessibilità è precipua caratteristica del verme. E il verme si adatta. E’ perfetto, per l’evoluzione. E per questo conserva inalterato la sua essenza, pur conformandosi ad ogni situazione esterna. Ed è così che taluni concetti rubano la flessibilità del verme per conservarsi sotto mutate spoglie. Idee e parole, la cui rispettabilità sociale era venuta meno, riconquistano il palco con rinnovato vigore presentandosi in vesti più mimetizzabili con il tempo che scorre. Anticaglie dello spirito e della brutalità del potere e dei rapporti sociali sono finalmente libere di spargere la loro tetragona logica arcaica. Nessun concetto, apparentemente sconfitto dalla Rivoluzione Francese, rimane nella polvere. Anzi, flessibile e verminoso, riconquista corifei talvolta dall’irreprensibile apparenza. La flessibilità è la consapevole e utile anima servile che mai avrebbe dovuto restare confinata all’aurea epoca feudale.
Della circostanza
La circostanza esaurisce in sé ogni possibile reale. Essere presenti nella circostanza significa marchiare quel territorio a vita. Occorre fiutare le circostanze, ed essere presenti ad ogni funerale. Con una faccia da circostanza. La partecipazione alla cerimonia funebre è alfiere più efficace di qualsiasi investimento pubblicitario. Occorre sempre avere a portata di mano la giusta maschera di circostanza. Costituisce essenziale paradigma esistenziale non essere mai fuori posto. E’ ora di comprendere una volta per tutte che l’ipocrisia non esiste. L’ipocrisia è solo la parola usata da chi non è in grado, per propria arretrata deficienza, di fronteggiare con la dovuta prontezza di riflessi, il continuo divenire delle circostanze.
Di quelli che non la bevono
Occorre assurgere rapidamente al giusto status. E il modo migliore è ergersi a costanti giudici dell’altrui comportamento, mantenendo un sacrale scetticismo sull’ingenuità delle scalate al cielo. Occorre essere compuntamente contro corrente, per favorire davvero lo scorrere del fiume nel suo naturale alveo. E bisognerebbe finalmente esserne consapevoli, anche se non a tutti è dato questo superiore stadio. Non mischiarsi e indicare con disgusto malcelato la giusta via. Circondarsi di stimolatori di finte coscienze critiche, esegeti di sopraffine particolarità capaci di acquisire enorme importanza nel racconto, occultando ogni sostanza.
Di quelli che è sempre possibile “più uno”
Nessuna realtà può mai soddisfare integralmente. La bulimica pubblicità continua, l’insistente rumore di fondo, indicano, senza possibilità di dubbio alcuno, che sia possibile raggiungere nuovi e mirabolanti traguardi. Oltre. E l’oltre esige i suoi sacerdoti. L’antica favola della mosca cocchiera ha perduto definitivamente ogni sua negativa connotazione, e la mosca può volare libera come un’aquila nell’infinito cielo del possibile. Indicando, per contrasto con la sua altezza, chi s’accontenta di ronzare. Chi, insoddisfatto, indica nuove e più pure mete è l’ossatura portante della conservazione, poiché, aborrendo i singoli passi, pontifica solo i voli pindarici, come meritevoli di considerazione.
Della corretta gestione del comando
Nulla deve far ombra. E nulla deve sopravvivere al veleno che devi spargere costantemente con assidua cura. Non può esservi dissenso né dubbio alcuno. Non è accettabile alcuna forma di autonomia individuale, o peggio, del pensiero. Nessun segmento della catena del comando può essere fuori dal controllo totale. Occorre desertificare ogni residuo di coscienza. Si ha licenza di respirare solo se ci si conforma integralmente al ghigno di chi ha in mano il portafogli o il titolo, o l’etichetta. Il resto va triturato. Senza pietà alcuna, quand’anche sia devoto alla stessa causa. In realtà, occorre capire che, se non si è devoti alla causa di chi comanda, si è solo abietti nemici. E colpiti di conseguenza con ogni minimo gesto. La sottoposta che non ami essere violentata è indegna. L’unico gruppo accettabile è il clan.
Dei cosiddetti diritti
Il diritto è, di per sé, inesistente. Esiste la graziosa elargizione. Il meritato favore. La compiacente eccezione. E’ solo la Storia a sancire cosa possa essere considerato un diritto. E la Storia è il racconto di chi sopravvive. Il cosiddetto diritto va graduato, sezionato, reso minuscolo e reversibile all’infinito. Fino a svelare la sua reale natura di concessione. A condizioni eguali devono corrispondere possibilità diverse, ed egualmente, a condizioni diverse, devono corrispondere possibilità diverse. Le regole servono solo per osservarle da lontano, col giusto distacco. Le qualità umane che contano sono la bellezza fisica, la simpatia, e l’abitudine ad essere proni. Il vero diritto da conquistare è la benevolenza di chi governa.
Della profondità
Il massimo della profondità raggiungibile è la superficie. Null’altro ha senso, o peso. La superficie riassume in sé ogni utilità umana. E’ la superficie che va titillata urlando la propria assenza di ragioni. Ed è alla superficie che si far appello efficacemente, delocalizzando ogni responsabilità. E’ la superficie che permette di costruire il necessario capro espiatorio e di perseguirlo convenientemente. E’ la superficie che consente al dito di oscurare ogni luna del cielo. E’ la superficie che permette di trasformare ogni cosa negli specchi dell’omologazione. Ed è la superficie che governa ogni assenza di profondità. Bisogna puntare alla superficie, perché la corruzione sia davvero profonda.
Per ora mi fermo. Ma sono quasi sicuro che il 26 febbraio troverò facilmente nuovi argomenti.