di Scipione L’Aquilano
L’AQUILA – Non so se avete mai potuto osservare e riflettere gli atteggiamenti che generalmente molte persone hanno davanti al reparto di rianimazione di un ospedale, mentre stanno in trepidante attesa di conoscere il destino di un familiare o di un caro amico ricoverato, per esempio, dopo un evento improvviso e tragico come un incidente. Gli stati d’animo affranti e preoccupati dei presenti sono presi da molti pensieri. Tutti sperano che il malcapitato si riprenda ed esca da quella condizione per poter riprendere la vita… oltre al classico: ma come è potuto succedere! Forse si poteva evitare! In quei frangenti affiorano i ricordi di momenti belli passati insieme o comunque momenti importanti condivisi, compresi magari rimpianti e rimorsi per cose non fatte o atteggiamenti sbagliati. Poi in molti affiora l’angosciante preoccupazione: “Ma porterà i segni su di sé per questo? Tornerà nelle piene facoltà come era prima? Oppure sarà un’altra persona e andremo incontro a sofferenze, magari per lunghi periodi”.
Superati i primi momenti di sconcerto, se il tempo si protrae senza riuscire ad avere notizie confortanti e la situazione ristagna, in alcuni interviene un terzo ordine di pensieri: “Come mai tutto questo tempo e non si hanno miglioramenti e buone notizie? Ma staranno facendo veramente tutto il possibile? Saranno veramente in grado di affrontare questa difficile situazione o si stanno coprendo delle loro incapacità? E’ il caso che ci facciamo sentire per richiamarli alle loro responsabilità, ci devono anche far partecipi della situazione.. mica possiamo attendere in eterno senza poter fare niente!!!”.
La settimana scorsa, insieme a mio figlio, un pomeriggio sono stato al reparto di rianimazione a far visita ad una malcapitata molto speciale. Erano circa le 16 e dal terminal bus di Collemaggio ci siamo incamminati su per via Fortebraccio e, superata Porta Bazzano, parlando del più e del meno, siamo andati in direzione della Basilica di San Bernardino. Si parlava del nostro rapporto con i luoghi e del fatto che sia io che lui, mio figlio, abbiamo avuto il destino di passare la nostra esistenza in diversi posti, fino ad ora. Non abbiamo avuto la fortuna, o sfortuna non saprei, di nascere, crescere, studiare e lavorare nello stesso posto. Ogni fase della nostra vita,infanzia, adolescenza, lavoro ed altro, è legata ad un luogo diverso.
Mentre ci facevamo queste considerazioni e ci si scambiava le sensazioni, eravamo giunti sotto la scalinata di San Bernardino e si era fatto ormai buio. Siamo rimasti immobili, in silenzio per qualche minuto, volgendo lo sguardo intorno a noi. Da un lato il buio assoluto, spettrale, ed un silenzio da incubi. Dall’altro, in alto, i fari che illuminano la piazza di San Bernardino che facevano pensare ad un barlume di vita. Ecco, mi sono detto: siamo al reparto di rianimazione. E i nostri pensieri erano proprio quelli, identici: come è potuto succedere? Si poteva evitare? Che bei momenti abbiamo vissuto con lei! E anche quante sofferenze. Però come era bella!!! Sì, ma se si riprende, quanti segni porterà su di sé? Sarà forse e probabilmente un’altra. Gli vorrò ancora bene? E quanto tempo durerà ancora questa sofferenza, fino alla completa guarigione? Sì, però sono quasi quattro anni che sta così, è sicuro che stanno facendo tutto il possibile? Saranno veramente in grado di risolvere questa difficile situazione o ci stanno nascondendo le difficoltà? Ci devono rendere partecipi della situazione, mica possiamo attendere in eterno! Altrimenti saremmo prima noi ad andarcene al creatore.
Abbiamo lasciato la nostra cara malcapitata in rianimazione in stato comatoso facendogli tanti auguri per una rapida ripresa delle sue condizioni e ci siamo avviati al ritorno. Ma lo sapete bene come è la vita: anche nei momenti di angoscia e tristezza a volte nel ricordo esiste anche il lato leggero che ti strappa un sorriso. Infatti, ad un certo punto, la strada era sbarrata da un cancello. Solo allora ci siamo resi conto di aver camminato all’interno di un cantiere che gli operai, andando via, giustamente avevano chiuso. Abbiamo potuto approfittare, per fortuna, di un monticello di macerie e di un asse di legno che era lì e siamo riusciti a scavalcare l’ostacolo, riguadagnando la meta.
Tornati al terminal, nel riprendere l’autobus, immaginavo cosa sarebbe successo se mentre stavamo scavalcando la recinzione fosse passata una pattuglia di polizia o ci avesse visto qualcuno che avvertiva i carabinieri. Già immagino i titoli: “Bloccato sciacallo tra le macerie, addirittura con il figlio” e i commenti su Facebook “Vogliamo il nome! Ergastolo! Bell’esempio!”. Vallo a spiegare che Scipione è andato a far visita ad una amica speciale in rianimazione! E non avevo con me neanche un mazzo di fiori per la mia Città, come alibi! Come diceva il grande Ennio Flaiano: la situazione è grave, ma non è seria!