Manlio Bellomo
racconta una Sicilia del XVI secolo divisa fra Inquisizione e lussuria.
L’intervista.
Lussuria, adulterii e sfrenatezze sembrano caratterizzare un paesino interno della Sicilia del XVI secolo: per questo motivo il vescovo La Calza e il Capitano di Giustizia Marescalco vi si recano per appurare fatti e processare eventuali colpevoli, ma devono fare i conti con la strenua difesa di Don Filippo La Ferla, a sua volta dedito ai piaceri della carne. Il prelato scopre che per la Chiesa, la Corona e la Santa Inquisizione le lacrime versate dalle mogli al momento della morte del marito sono indizio di innocenza mentre quelle per uno sconosciuto sono indizio di consumato adulterio. Perciò la vedova che non piange alla morte del consorte è sospettata d’essere colpevole di adulterio, e forse di omicidio. Don Filippo La Ferla, ignorante di diritto, va a cercar lumi a Catania. Il romanzo scritto dal prof. Manlio Bellomo (Euno edizioni, pagg. 152, € 13,00) partecipa alla terza edizione del Premio Letterario “Torre dell’Orologio” di Siculiana.
Che cosa ha di ancora particolarmente affascinante il XVI secolo narrativamente parlando?
I secoli XVI-XVII sono affascinanti perché hanno espresso capolavori straordinari, ancora oggi molto amati perché ritenuti sempre attuali: Miguel de Cervantes Saavedra († 1616) e William Shakespeare (muore nello stesso anno di Cervantes) fra tanti.
A suo avviso, c’è qualche aspetto che merita di essere sviscerato ulteriormente?
Gli aspetti del ‘500 e del ‘600 sono infiniti: basti ricordare Galileo Galileo († 1642) e il suo Dialogo sui massimi sistemi. Apre la via, definitivamente, alla scienza moderna e al tumulto di idee che ne segue.
Parliamo dei personaggi: ce n’è uno su cui ha riversato un po’ di sè e delle sue idee?
È normale che ogni personaggio rispecchi il mondo ideale e culturale dell’autore. Si presume che costituisca un contributo al rinnovamento dei costumi e della mentalità attuale. Ma letterariamente, senza esagerazioni e senza compiacimenti moralistici.
Don Filippo La Ferla come nasce?
Don Filippo La Ferla nasce nel 1994, in un mio libro, Terra a Girgìa, edito da Sellerio. Somiglia al monaco che nel Galileo Galilei di Bertold Brecht, “voleva sapere, sapere, sapere”, per il bene altrui.
E il titolo del romanzo?
Il titolo del romanzo deriva da un titolo analogo, di un saggio scientifico, Lagrimas de mujeres. El llanto en el sistema del derecho común. Cito scrupolosamente l’articolo nella Post-Fazione del romanzo. In esso l’autore, Javier Barrientos, documenta quattro processi a carico di vedove che non avevano pianto, o pianto troppo, in quattro città diverse e lontane: Catania in Sicilia, Barcellona e Saragoza in Spagna, Santiago del Chile (dove esistono ancora gli atti processuali). Due sono condannate a morte. Impressionante.
Quale Sicilia racconta? a parte la vicenda specifica, può essere specchio dell’isola odierna?
La Sicilia è soprattutto quella dell’interno dell’isola: dei paesi di collina o di montagna, dei pettegolezzi (compaiono nel romanzo come indizi e praesumptiones), dei pruriti sessuali, di una mentalità che è cambiata già molto dopo l’abolizione del delitto d’onore ma che ancora impone ai mariti, in molti casi, di maltrattare e punire le mogli adultere, e di ucciderle anche.