La Siria è la chiave di volta di una guerra fredda USA
e Arabia Saudita contro l’Iran.
L’asse USA-Islam potrebbe mettere a repentaglio
gli equilibri mondiali nel Golfo Persico e in Mediterraneo.
E’ tempo che l’Unione Europea differenzi
la propria politica estera da quella statunitense.
di Fabio Ghia
TUNISI – Kofi Annan sin dal luglio scorso ha denunciato “Si è insediata in Siria una forza terrorista ostile a ogni mediazione”. La prosecuzione dei massacri e l’uccisione per giustizia sommaria, confermano quanto Kofi Annan sin dal mese di luglio scorso aveva denunciato. La Siria è entrata nel pieno di una guerra civile, con sempre meno possibilità di un cessate il fuoco. Alle atrocità perpetrate dalle forze lealiste, si sono aggiunte fucilazioni sommarie di estremisti Jihadisti (la maggior parte libici e tunisini) che negli ultimi mesi sono andati a rinforzare i ribelli islamisti. La Siria rappresenta lo snodo delle più infuocate questioni mediorientali, dalla sicurezza del Libano e d’Israele al confronto religioso, mai sopito, tra l’Iran e l’Arabia Saudita, cui ci si aggiunge la supremazia e il controllo delle principali fonti energetiche mondiali da parte degli USA.
In Siria, le differenti parti sociali che inizialmente si erano manifestate come forze di opposizione democratica al regime di Bashar Al Assad (Comunità Cristiane e moderati di ogni area), pacifiste e contrarie a qualsiasi forma di contrasto violento, sono state ridotte al silenzio, mentre l’Esercito Libero Siriano (ELS) di estrazione islamista, creatura del Consiglio Nazionale Siriano di base in Turchia, come risposta alle tristi operazioni militari dell’Esercito siriano, si è reso sempre più responsabile di uccisioni sommarie di soldati “lealisti”, della morte di decine di civili, di atti di sabotaggio e terrorismo dei più spietati. Da quando è subentrato l’occidente a supporto del proselitismo Saudita, l’ELS riceve costantemente finanziamenti e armi, consiglieri e mercenari. Oggi vedremo il risultato delle presidenziali USA, ma per la politica estera, in particolare la Siria, ambedue i contendenti si sono già espressi in maniera similare.
Già da qualche tempo l’amministrazione Obama è schierata dalla parte delle forze anti Assad, mentre Romney, nel suo ultimo confronto televisivo, ha detto a più riprese che la soluzione più immediata è quella di dotare di “armamenti pesanti i ribelli”. Dal dicembre 2011, grazie alle richieste fatte dal Presidente del Consiglio Nazionale Siriano Burhan Ghalioun, il Governo Libico ha inviato diverse centinaia di volontari Salafiti libici e tunisini in Siria, che attualmente operano tra Homs, Idlib e Rastan. La Siria di oggi rappresenta la chiave di volta dell’alleanza mai dichiarata tra gli USA e l’Arabia Saudita, innescata dal famoso discorso del Presidente Obama nel giugno 2009 al Cairo: “Stati Uniti e Islam non devono essere in competizione. Si tratta d’interessi comuni, che potremo realizzare solo insieme isolando chi vuole alimentare divisioni e impedire la via del progresso”. Parlò di nuove potenze regionali (Arabia Saudita), della comune lotta al terrorismo islamico e dell’Iran. Arabia Saudita e Qatar sono i veri finanziatori militari dell’ELS. Sunniti ultra-ortodossi, vedono nella Siria solo una pedina della loro campagna contro gli scissionisti sciiti dell’Iran degli Ayatollah, oltre che l’opportunità di riportare l’intero mondo mediorientale all’unicità di un credo islamico comune.
In contrapposizione all’asse USA – Arabia Saudita, la Siria di Al Assad conta sull’appoggio strategico della Russia e dell’Iran. La Russia, infatti, sin dal 1966 fruisce di una base militare in Siria per le sue unità navali. L’Iran ha scelto la Siria per il supporto a Hezbollah e partner di primo livello nel complesso gioco del nucleare iraniano. Le evidenti “tensioni” sullo Stretto di Hormuz e nel Golfo Persico sono solo una parte di una pericolosa guerra fredda tra Teheran e Washington. La conferma ci viene dall’alleanza “energetica” tra l’Iran e la Russia. Il greggio proveniente dai paesi caspici viene, infatti, trasportato verso le raffinerie del nord dell’Iran, per poi essere esportato attraverso il Golfo Persico. Mentre il terminale Mediterraneo dell’oleodotto, che dai Paesi Caspici passa in Iran e Iraq, arriva guarda caso proprio in Siria.
Nella sostanza, tutto lascia pensare che dietro le aperture politiche degli USA nei confronti dell’Islam, esiste una guerra sul controllo “energetico” dell’area nei confronti dell’Iran. Nazione che è anche l’obiettivo “religioso” prioritario nella jihad di conversione mossa, sin dal 672 (anno dello scisma Shjita), dall’Arabia Saudita all’Iran .
In questo quadro, l’UE si è allineata in tutto e per tutto alla politica USA, a conferma di quanto già fatto nel corso delle varie Rivolte del nord Africa del 2011. Se il supporto USA alle rivoluzioni, arrivato nei vari paesi in rivolta attraverso il Qatar (nazione prediletta dell’Arabia Saudita ai fini del proselitismo islamico), ha generalmente sortito gli effetti voluti, anche in termini di “violenza armata” suscitata durante le rivoluzioni, la guerra in Libia ha anche messo in evidenza l’incapacità degli Europei – ivi compresi Francia e Regno Unito – di poter intervenire nel necessario “dialogo” interculturale con i popoli in rivolta, così come di poter sopportare uno sforzo “bellico” convenzionale di basso livello e di corta durata. La mancanza più evidente, comunque, da parte Europea è stata sicuramente lo scollamento esistente in ambito UE su argomenti riguardanti la politica estera e la sicurezza nazionale.
Per quanto succede in Siria oggi, è più che giusta l’unanime condanna del Presidente Assad e il suo potenziale partner strategico: l’Iran. Ma gli attori occulti di questi massacri sono anche Arabia Saudita e Stati Uniti. L’Unione Europea non è intervenuta nel contenzioso in atto, se non con azioni restrittive in attuazione alle risoluzioni ONU, né d’altra parte esistono motivazioni per rendersi parte responsabile di quanto in atto in Siria. L’eventuale acuirsi della guerra civile in Siria deve però trovare nell’UE un fronte unico che dovrebbe incominciare a defilarsi dall’attuale assonanza al pensiero americano, differenziando gli interventi in relazione ai reali interessi nell’area. Sarebbe forse ora di svincolarsi dalle pressioni dell’alleato Usa e cercare, così come si sta facendo con il Governo Assad, di bloccare gli aiuti militari anche agli insorti, costringendo ambedue le fazioni ad aderire a quel cessate il fuoco tanto desiderato e richiesto dalla maggioranza benpensante del popolo siriano.
Fabio Ghia