Il 18 settembre 2012 nell’ambito delle
“Giornate di Storia delle Forze Amate Italiane – VIII^ edizione”
è stato presentato il libro di Elena Aga Rossi e Maria Teresa Giusti
Una Guerra a Parte. I militari italiani nei Balcani 1940 – 1945
Sono poche le opere di storiografia in grado di far coesistere i pregi della sintesi con la potenza, anche espressiva, dell’affresco, e il saggio di Elena Aga Rossi e Maria Teresa Giusti rivela, già nell’ampia bibliografia consultata, questa rara, e per questo ancor più preziosa, caratteristica.
L’ 8 settembre 1943 rappresenta la data chiave per tenere assieme i tanti fili rossi che compongono la trama del libro, capace di ricostruire, in pagine di vivida forza storiografica, la sorte dei militari italiani, circa 650.000, sorpresi dall’armistizio nei Balcani, una regione occupata da Italia e Germania a partire dal 1940.
I Tedeschi, subito dopo l’arresto di Mussolini, diffidando di Badoglio e del re, avevano messo a punto il piano “Achse”. L’obiettivo era duplice: disarmare gli Italiani e contrastare qualsiasi loro azione, mantenendo il controllo del territorio.
Nei Balcani e nell’Egeo l’esercito italiano disponeva, però, di uomini e mezzi che, se opportunamente utilizzati, avrebbero messo comunque in grossa difficoltà le truppe tedesche. Purtroppo, gli Italiani – come hanno evidenziato le autrici del libro – mancarono quasi totalmente di direttive e coordinamento, adottando durante i “45 giorni” di Badoglio scelte controproducenti e insensate, capaci soltanto di creare disorientamento tra i combattenti. Valga come episodio paradigmatico, quasi cartina al tornasole dell’apatia di Badoglio e dei più alti gradi militari, la decisione di acconsentire a che i porti di Durazzo, Cattaro, Mostar e Podgorica fossero difesi anche da presidi tedeschi, inserendo pericolose enclave nel dispositivo militare italiano.
L’8 settembre, pertanto, trovò del tutto impreparati gli alti comandi dell’esercito, che nel caos di quei giorni non riuscirono a garantire a soldati ed ufficiali inferiori ordini chiari e tempestivi, agevolando, anche con atteggiamenti di aperto collaborazionismo, l’opera di disarmo delle truppe italiane da parte dei Tedeschi.
Per quanto concerne lo scacchiere balcanico e nelle isole greche, il libro documenta centinaia di episodi, alcuni poco studiati, che videro protagonisti reparti e divisioni del Regio Esercito, stretti nella tenaglia formata da una parte dai Tedeschi e dai loro alleati, dall’altra, dai partigiani, spesso ostili nei confronti degli Italiani, ancora percepiti dopo l’armistizio come invasori.
Un caso emblematico, fra i tanti presi in considerazione dalle due storiche, è rappresentato dalla sorte della divisione Zara, comandata dal generale Carlo Viale. La divisione, forte di circa 17.000 uomini, aveva la sede del comando a Zara, con distaccamenti dislocati lungo il confine della Dalmazia e uno di particolare consistenza a Knin, in territorio croato. Le scelte adottate in quei frangenti dal generale Viale, il suo comportamento rispetto alla drammaticità della situazione, sono tutti esempi dell’inerzia palesata da parecchi alti ufficiali italiani, incapaci de facto a prendere una decisione, e questo per limiti caratteriali, talvolta per un malcelato collaborazionismo filotedesco. Il 9 settembre forze motorizzate germaniche giunsero alle porte di Zara, occupando la città senza incontrare alcuna resistenza da parte dei soldati comandati da Viale. “In un giorno – si legge nel libro – furono disarmati quasi tutti i reparti; alcuni, sollecitati dai tedeschi a collaborare, accettarono di formare reparti di lavoratori. Molti gruppi di sbandati elusero la vigilanza tedesca e si unirono ai partigiani; alcuni reparti raggiunsero fortunosamente le isole antistanti: quanti si rifiutarono di collaborare furono rinchiusi nei campi di concentramento”. In una memoria scritta nel 1959, il generale Viale sostenne, non senza una certa sfrontatezza, di aver affrontato e risolto “la situazione in base agli ordini ricevuti con senso di responsabilità e di dignità”.
Altro personaggio negativo, ben enucleato nelle pagine del libro, è il generale Emilio Becuzzi, comandante della divisione di fanteria Bergamo, dislocata in Dalmazia e con sede a Spalato. Gli alti gradi dell’esercito operativi in Dalmazia, in primis lo stesso Becuzzi, erano a conoscenza della “Memoria 44”, ma non adottarono alcun provvedimento significativo in chiave antitedesca, capace di rallentare o bloccare il processo di disgregazione delle unità militari italiane. Anzi, Becuzzi, con un atteggiamento autolesionistico, dopo aver fatto cedere le armi dei suoi uomini ai partigiani, si imbarcò per l’Italia abbandonando la maggior parte delle truppe sotto il suo comando alla mercé dei Tedeschi che, appena entrati in città, si abbandonarono con gli alleati ustascia a rastrellamenti e feroci rappresaglie, passando per le armi soldati e ufficiali dell’esercito italiano, tra cui i generali Cigala Fulgosi, Policardi e Pelligra. A vicende come questa di Becuzzi, esempio emblematico di viltà e incompetenza, fanno da contrappunto le scelte, di segno opposto, compiute da soldati e ufficiali, soprattutto di grado inferiore, che non si arresero ai Tedeschi, preferendo combatterli a viso aperto, schierandosi spesso a fianco dei partigiani.
Il libro, frutto di un progetto editoriale ambizioso e di lungo respiro, proprio su queste tematiche apre a 360 gradi la lente dell’indagine storiografica, esaminando le responsabilità dei singoli comandanti italiani, la spietatezza e la determinazione della Wehrmacht, i rapporti ambigui e difficili tra soldati italiani e partigiani, con questi ultimi spesso nelle vesti di prevaricatori più che di alleati, come suggerisce l’odissea della divisione Garibaldi che, in mezzo ad ogni genere di traversie, combatté a fianco di Tito.
Piuttosto dense le pagine dedicate alle unità militari italiane di stanza nelle isole greche, con particolare attenzione per i gravi accadimenti di Cefalonia, dove le due storiche, con un approccio non preconcetto e scevro da opzioni ideologiche, inseriscono le vicende della Acqui in un contesto più ampio, rivalutando la figura del generale Gandin, costretto a fare scelte difficili e dolorose in una situazione oggettivamente complessa, nella consapevolezza che uno scontro con i Tedeschi avrebbe portato all’annientamento della divisione, come poi drammaticamente accadde.
La scrittura, dietro un’apparente freddezza scientifica, nasconde “un’intelligenza etica”, per dirla con Gardner, che rappresenta il valore aggiunto più importante del saggio, come si evince dalle parole introduttive poste quasi ad epigrafe del volume.
“Il libro – scrivono le autrici – non vorrebbe essere una storia degli eventi bellici, ma un primo lavoro, che ancora inevitabilmente per alcuni aspetti dovrà essere ampliato e corretto, dell’esperienza di guerra di tutta una generazione. Si è cercato di recuperare, utilizzando fonti diverse e testimonianze, attraverso la memoria individuale, il senso di un dramma collettivo, ma ci rendiamo conto che molto resta ancora da fare […] Abbiamo tentato con questo volume di dare una risposta alle tante richieste di informazioni su quella guerra dimenticata da parte di familiari di persone che avevano combattuto nei Balcani e che, tornate a casa, non avevano mai parlato della loro esperienza o erano rimaste inascoltate. L’intento era di restituire finalmente alla memoria collettiva la storia del fronte balcanico, un fronte che si è cercato di dimenticare perché, più di ogni altro, ha mostrato l’assurdità di una guerra voluta dal fascismo, ma combattuta da tutti gli italiani”.
Gilberto Marimpietri
Egregio Dottore,
sicuramente avrò modo di apprezzare l’opera storiografica oggetto del suo articolo.
Nella vecchia valigia di mio padre che è stato coinvolto come militare di leva nella guerra in Grecia e che mi raccontava di essere stato prigioniero dei tedeschi, ho trovato un piccolo dipinto olio su tela, con soldati italiani in azione ed in basso scritto Albania.
Tale dipinto è stato creato da mio padre sul posto, così come se fosse una foto dal fronte,Il dipinto può avere una valenza storica anche se non artistica perchè è un pò deteriorato.Se trovate tale cosa interessante sono disponibile a inviarvi la foto della tela.
Cordiali saluti, Carlo Trapasso