“NOVITA’” SUL RECUPERO DELL’INDEBITO PENSIONISTICO

21 Settembre 2012
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Il risarcimento del danno da ritardo: l’art. 2 bis della legge 241/1990
introdotto dalla legge 69/2009

Il TAR LAZIO  Sez. II,  con sentenza 5 gennaio 2011, n. 28 ha cosi deciso:
Danno da ritardo della P.A. – requisito del mancato conseguimento del bene della vita anelato al momento della proposizione dell’istanza.


Il danno da ritardo è un istituto riconoscibile soltanto a fronte di ingiustificati dilatori comportamenti da parte dell’Amministrazione procedente nell’ambito dell’esercizio di attività vincolata e non, come è evidente con riferimento ad un pubblico concorso per l’arruolamento nel pubblico impiego, nell’esercizio di attività discrezionale, sia pure connotata da elementi di tecnicità.

Seppure l’art. 2-bis della L. 241/1990, introdotto con la L. 69/2009, prevede il risarcimento del danno ingiusto cagionato dall’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, la norma, come si evince dal suo tenore testuale, non consente il risarcimento del danno da ritardo “fine a sé stesso” ma solo in relazione ad un bene della vita ingiustamente sottratto a colui che poteva nutrire una legittima aspettativa di conseguirlo.

L’onere di provare il danno incombe sul danneggiato.

Premesso che nel caso di “inosservanza dolosa” emergerebbe l’ipotesi di reato penalmente rilevante, va da sé che non sarà facile poter dimostrare che il ritardo nella definizione della pratica pensionistica conclusasi – dopo venti e più anni – con un addebito per colpa dell’altrui responsabilità (anzi della P.A.) abbia procurato un danno di natura patrimoniale “fine a se stesso”.

Nella fattispecie dell’indebito pensionistico, a parere di chi scrive, non si è fatto nessun passo avanti. Anzi. La scomparsa dell’istituto della “buona fede” e della “fiducia” riposta dal percettore nell’agire della Pubblica Amministrazione, senza la contemporanea introduzione dell’esistente istituto della “decadenza quinquennale”, azzerano le speranze di un vero e proprio risarcimento.
Ancora una volta il legislatore, nel porre rimedio ad una situazione a dir poco paradossale ed insostenibile, invece di proporre una inchiesta per accertare e rimuovere le cause degli insostenibili  motivi “dilatatori”, punisce chi colpa non ha, con una legge con la quale finge di risarcire il danneggiato ponendo a carico di questi l’onere della prova. Come se l’attesa di circa vent’anni per la conclusione del procedimento non fosse più che una prova.
Si pensi che un banale errore di soli € 100/00 mensili erogati in più del dovuto, in un segmento temporale di venti anni, comporterà un addebito di ben € 26.000/00 (ventiseimila). Cinquantaduemilioni di vecchie lire. La buona fede del percettore, che tanta parte ha sempre avuto nella dottrina e nella giurisprudenza, nonché la convinzione di ricevere il giusto emolumento per la fiducia riposta nella Pubblica Amministrazione, non sono elementi da poter giustificare una sanatoria.
La riduzione del trattamento pensionistico a seguito della correzione  del dovuto ed il successivo e conseguente addebito e quindi la riduzione dell’emolumento mensile, per il legislatore prima ed il Giudice dopo, non sono forse, elementi probatori da costituire un danno da ritardo risarcibile?
Ancora una volta il “diritto della forza” prevale sulla “Forza del Diritto”.

Occorrerebbe una legge specifica avente per oggetto la “Giusta durata della decretazione pensionistica”, con l’introduzione della decadenza quinquennale sull’indebito erogato ed, in analogia alla cosiddetta Legge Pinto, un indennizzo per ogni anno in più della prevista durata del procedimento, non inferiore a 1.000/00 €. Solo così si potrà eliminare questa scandalosa situazione che da sempre affligge il settore.

Non a caso la Corte dei Conti – Sezione Giurisdizionale per la Regione Piemonte con sentenza n.65/2012, in accoglimento di un ricorso intentato da un Sottufficiale dell’Ama dei Carabinieri, definisce il periodo impiegato per la definizione di una pratica pensionistica “lunghissimo ed abnorme”, per cui, continua la Corte, “..la responsabilità non può ricadere a distanza di moltissimi anni, in armonia con il precetto contenuto nell’art. 38 della Costituzione coordinato con il principio di solidarietà ad esso sotteso, in danno delle ragioni del percettore, sorrette da incontestabile buonafede”.

Occorre infine tener presente le spese di giudizio che, mentre nel  passato venivano compensate, da qualche tempo il Giudice condanna i ricorrenti alla rifusione delle stesse per ciascuna delle Amministrazioni costituite: INPS (EX INPDAP), MINIDIFESA e MINISTERO DELLE ECONOMIE E DELLE FINANZE.

Vincenzo Ruggieri

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