Non si può assemblare un’auto inserendo il motore di una Ferrari su una Cinquecento e credere che funzioni.
Fuor di metafora, l’Unione Europea così come è stata realizzata ha prodotto un sistema polarizzato, con economie
forti e deboli e evidenti squilibri che inizialmente hanno favorito i paesi meno competitivi, penalizzandoli però nel medio
periodo, a causa soprattutto degli attacchi finanziari di tipo speculativo.
di Antonio Porto
(economista)
L’AQUILA, 12 giugno 2012. La Grecia è caratterizzata da un’economia basata essenzialmente sul turismo, da una classe politica incapace che ha accumulato un debito enorme e da una cattiva credibilità internazionale. Il solo motivo per cui è sopravvissuta è stata la dipendenza economica dagli USA.
Nella gestione della crisi europea anche gli altri stati dell’UE hanno le loro responsabilità. Come si può governare la crisi con la sola politica monetaria, senza un’unità politica vera capace di intervenire utilizzando la leva fiscale, della crescita, del lavoro, industriale e dell’export, in sostanza senza una politica economica unica?
I politici, di qualsiasi nazionalità, hanno un obiettivo solo, non farsi sottrarre potere con la falsa motivazione della limitazione della sovranità nazionale. Ma senza un’istituzione europea sovrana come si può pensare di competere in un’economia globalizzata, in cui ci sono nazioni emergenti con economie in forte crescita (BRIC), e di regolare gli squilibri fra i diversi paesi sovrani?
Per la Grecia si avvicina l’epilogo della crisi. Come tutte le nazioni senza strategia e con un debito pubblico che non sono in grado di pagare, l’unico provvedimento che sono in grado di proporre è quello di abbandonare l’euro. Il ritorno alla dracma porta vantaggi perché, inducendo una grave svalutazione di questa moneta, ridurrebbe in modo fittizio, in quanto solo nominalmente, il peso del debito internazionale, supportando la bilancia commerciale con un recupero di competitività internazionale per i prodotti greci. Non risolverebbe, però, i problemi di lungo periodo, sia perché questo paese non ha una base produttiva, sia perchè provocherebbe un peggioramento del bilancio pubblico, già oggi fuori controllo, in conseguenza sia della svalutazione sia delle scarse entrate esterne. Come altro aspetto positivo, riguadagnerebbe la sovranità nella gestione della politica monetaria con la svalutazione e la monetizzazione del debito pubblico, come sopra accennato. Tutto ciò, però. avrebbe come conseguenza una severa inflazione, ma al punto in cui si trova la Grecia questo sarebbe il male minore. Tuttavia le famiglie, che vivono già pesantemente la crisi in atto, vedrebbero danneggiati i loro risparmi che sarebbero fortemente svalutati; inoltre, al fine di tutelare il credito e il risparmio, le banche dovrebbero essere nazionalizzate e sottoposte ad un rigido controllo da parte della Banca Centrale.
Altri aspetti negativi: la base produttiva esigua, nel lungo periodo, finirebbe per scomparire, il bilancio statale sarebbe del tutto fuori controllo, a cascata la Grecia dovrebbe pagare tassi d’interesse più alti sul debito pubblico per compensare il rischio di svalutazione, che innescherebbe una speculazione sul debito stesso, facendo aumentare vertiginosamente verso l’alto i tassi dei rendimenti. La spirale svalutazione-inflazione provocherebbe grosse difficoltà ad accedere ai mercati finanziari internazionali negli anni prossimi, con la conseguenza che i Greci
dovrebbero essere obbligati a misure di tagli della spesa e aumento delle tasse.
Nelle prossime settimane i cittadini greci sono chiamati a nuove elezioni, dal risultato delle quali dipende la scelta se uscire o meno, anche se il Trattato UE non prevede l’uscita di un paese dall’euro; questo, infatti, è l’unico modo per non permettere, tornando alle vecchie monete, di minarne la credibilità e l’affidabilità internazionale. Proprio questa credibilità ha giovato a nazioni come la Grecia, l’Italia e altri, che hanno importato la attendibilità della politica monetaria tedesca manifestatasi in basse aspettative di inflazione e bassi tassi di interesse per un decennio. Anche se si riuscisse a gestire il ritorno della Grecia alla dracma con successo, cioè senza creare quel disordine finanziario prima sottolineato, si arrecherebbe un danno al sistema euro; per effetto imitazione altri paesi, al fine di beneficiare della svalutazione, sarebbero indotti a seguire la stessa scelta, mettendo in discussione il loro impegno e la loro credibilità a restare nell’eurozona. Il sistema Euro sarebbe compromesso e destinato al fallimento. Guadagnare da una rottura delle trattative con la BCE e con la Germania potrebbe ingenerare la paura che una rinegoziazione troppo generosa del rientro dal debito possa indurre altre stati indebitati a imitare l’esempio greco e questo stesso governo ad essere tentato a dichiarare il default. Tutto ciò alimenterebbe ancora di più la speculazione facendo schizzare i rendimenti verso l’alto, rendendo vani gli sforzi che stanno facendo Italia e Spagna per rimettere in ordine i conti e rendere sostenibili le finanze pubbliche.
Per le ragioni esposte non è conveniente per nessun paese cercare la scorciatoia dell’uscita dall’euro per risolvere le crisi interne. Anzi, per rafforzare l’Europa si ripropone con forza la sola via d’uscita che è quella politica: dare vita ad un assetto politico-istituzionale vero e credibile, simile al modello federativo USA.