L’IMPASSE SIRIANO

9 Marzo 2012
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La “primavera araba” in Siria è partita, alla stesso modo di Tunisia ed Egitto, come movimento di dissenso e protesta contro il regime, crescendo di intensità è stata oggetto di una  violenta repressione da parte delle forze del presidente Assad contro la popolazione civile.
Dopo lo spontaneismo dei  primi mesi la protesta ha iniziato a strutturarsi e a darsi un’organizzazione, ma l’opposizione rimane variegata e divisa, frammentata nelle diverse anime che la compongono. I principali gruppi di opposizione risultano essere tre:

– il Consiglio Nazionale Siriano (CNS), composto da partiti e movimenti: nazionalisti, islamici (compresi i Fratelli Musulmani), curdi ed    intellettuali progressisti, il cui obiettivo è la costituzione di uno stato di diritto e l’eguaglianza di tutti i cittadini nel rispetto delle minoranze religiose. Il CNS scarta l’idea di un dialogo con il regime che non sia legato al trasferimento dei poteri a un governo di transizione. Sull’ipotesi di un intervento militare esterno, simile a quello attuato in Libia, risulta diviso al suo interno;

– il Comitato di Coordinamento Nazionale (CCN), costituito da un’alleanza alla quale aderiscono: in maggioranza i partiti di sinistra, tre formazioni curde e vari gruppi giovanili locali.  Il CCN è favorevole all’apertura di un dialogo con il regime sulla base delle proposte della Lega Araba: ritiro delle Forze Armate dalle strade e rilascio di tutti i prigionieri politici. Rifiuta categoricamente l’ipotesi di un intervento militare esterno;

– l’Esercito di Liberazione Siriano (ESL), costituito da militari fuoriusciti dall’Esercito regolare, la cui consistenza e capacità operativa  non sono al momento accertate. Si parla di circa diecimila uomini da contrapporre ai 450 mila dell’esercito regolare. L’obiettivo del Free Syrian Army è rovesciare il regime di Assad con la forza delle armi. I bersagli preferiti finora sono stati pullman che trasportavano personale delle forze di sicurezza o veicoli, attaccati con armi leggere o RPG (lanciarazzi anticarro) o piazzando ordigni rudimentali ai lati delle strade. Molto spesso sono stati colpiti solo gli ufficiali, in modo tale da favorire poi le diserzioni delle truppe.

 Le violenze contro i cittadini sono proseguite, provocando un numero di vittime che, secondo le stime delle Nazioni Unite, si aggira intorno alle 5.000 persone. La situazione appare molto incerta e la nazione sembra essere sull’orlo di una guerra civile, anche nella considerazione dell’enorme quantità di armi in circolazione nel Paese. Per fermare la repressione, la diplomazia internazionale ha continuato a fare pressioni su Assad per cercare di convincerlo a porre fine alle violenze.
Al momento non esiste nessuna ipotesi di un intervento militare esterno, anche perché i tentativi di concertare un’azione comune, soprattutto in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, sono stati resi vani dalle posizioni adottate dalla Russia, storico partner siriano, che finora ha bloccato ogni iniziativa diplomatica. In questi mesi si sono mossi anche gli Stati del Golfo, soprattutto sulla spinta del Qatar, che, attraverso la Lega Araba, hanno promosso una missione di osservatori per verificare direttamente le condizioni di sicurezza nel Paese. Dopo non poche reticenze da parte della autorità siriane, la missione della Lega Araba è arrivata a Damasco, ma non ha potuto svolgere il proprio lavoro al meglio a causa della poca collaborazione delle autorità locali.
Almeno nel breve periodo la situazione è destinata a rimanere stabile in quanto da una parte i ribelli non hanno le capacità per sconfiggere l’esercito fedele ad Assad, ma, dall’altra, le stesse forze del Presidente non sono più in grado di ristabilire l’ordine in tutto il Paese.

 

 

 

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