RAZZISMO
– IGNORANZA E PAURA –
Non si tratta di integrare gli stranieri quanto gli Italiani che questi stranieri non sopportano
“Oggi dopo i morti di ieri non ci siamo svegliati in una città razzista ma piuttosto come una città colpita al cuore dal razzismo”: con queste parole il Sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha stigmatizzato i recenti fatti che hanno insanguinato la Città.
Purtroppo, non si è trattato né si tratta di un episodio isolato: il più eclatante e recente risale alla scorsa estate in Norvegia, dove un altro “pazzo” ha sparato su un’inerme folla di pacifici studenti in un campus universitario. Si è trattato di un episodio in qualche modo emblematico, forse proprio per il luogo in cui si è verificato, in Norvegia cioè nel Nord del Mondo, dove, di solito, è tutto calmo e tranquillo, se non altro all’apparenza, se non altro ovattato dalla neve. Nel corso dell’autunno 2011 la spirale di violenza cieca e senza un’apparente ragione non si è arrestata come se ogni singolo fatto ne richiamasse tragicamente altri. Colpisce l’efferatezza che guida la mano degli aggressori e che, per tranquillità, si attribuisce a pazzia o devianza, comunque etichettata. Per tranquillità, si diceva: sì, è necessario attribuire la violenza a qualcosa che non va nella mente di colui che agisce; in caso contrario, è pauroso e spaventevole pensare che chiunque abbiamo accanto in questo preciso momento potrebbe improvvisamente decidere di pugnalarci o spararci così, a sangue freddo e per un nonnulla.
Nei fatti di Firenze c’è una componente aggiuntiva, quella razziale. C’è chi ribadisce l’esigenza di integrazione, ma forse si dovrebbe pensare ad un’integrazione al contrario: non si tratta, cioè, di integrare gli stranieri quanto gli Italiani che questi stranieri non sopportano.
L’integrazione degli stranieri passa attraverso l’acquisizione della lingua quanto attraverso la cittadinanza. Sulla cittadinanza lo Stato italiano sta operando in modo da riconoscere
doverosi diritti ai tanti giovani, ormai italiani dalla nascita ma solo di fatto, che popolano il nostro Paese. D’altronde, è esperienza di tutti incontrare ragazzi cinesi o africani che parlano nel dialetto del luogo in cui vivono. Questa è integrazione, questa è “civiltà”.
Il problema, a mio avviso, è di altro genere, è di “mentalità” della gente ed è strettamente legato all’alternarsi delle generazioni. I giovani che convivono fin dalla scuola con coetanei di altre razze crescono annullando tali “differenze”: il colore della pelle, le diverse abitudini, le altre lingue non rilevano più. Esistono solo i Luca, Giovanni, Moustapha, Diou, ragazzi che insieme condividono la fatica di crescere.
La componente invece più allarmante è quella politica: se la mano di chi agisce è manovrata da ideologie (o ideologi) che si ispirano a “credo” politici, allora è lì che bisogna intervenire, oltre a modificare le leggi è primario intervenire sulle coscienze. Non che si debbano annullare le differenze: la democrazia è pluralismo. La democrazia, però, è anche rispetto dell’altro, è libertà che non travalica i limiti della libertà dell’“altro”.
Questa ritengo che sia una delle più urgenti sfide che la Politica deve affrontare in Italia.
Francesca Bocchi